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27/03/2013 |
SUL GRANDE SCHERMO "BUONGIORNO PAPà" |
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Andrea è un quarantenne che non ha mai smesso di avere vent'anni. Bello e disinvolto, capello tinto e pelle abbronzata, fa carriera e successo in un'agenzia che si occupa di product placement. Sempre sul pezzo e in movimento, divide il suo appartamento con l'amico Paolo e il suo letto con ogni donna che lo trovi irresistibile. Ma alla sua porta una mattina suona Layla, una diciassettenne coi capelli viola che dice di essere sua figlia. A provare il fatto il diario della madre, deceduta qualche mese prima. Diffidente e prudente, Andrea si sottopone alla prova del DNA, certificando la sua paternità. Spaventato e confuso, prova a prendere le misure di una nuova vita, affollata da un'adolescente e da suo nonno, un musicista 'dismesso' che vive in camper e sogna i New Trolls. Con l'aiuto di Paolo e di un'energica insegnante di educazione fisica, Andrea infilerà la strada della maturità, trovando il compromesso tra l'uomo e il padre. Coerente col debutto di ieri, Edoardo Leo ritorna a parlare di passato, paternità e umana imperfezione. Intervenendo con grande sensibilità su un soggetto di Massimiliano Bruno, l'attore e regista romano realizza il percorso di un personaggio che fa i conti coi trascorsi e con la necessità di crescere, spinto da una condizione eccezionale: un'adolescente che ha il nome di una canzone dei Derek and the Dominos. E dagli anni Settanta, come il gruppo americano hard-blues-rock, sembra venire questa diciassettenne 'analogica', che guarda Kubrick in bianco e nero e stende le fotografie ad asciugare come in Blow-Up. Adottando i toni della commedia, Buongiorno papà apre a uno spiraglio di profondità, anche per i volti a cui si affida, Marco Giallini, Paola Tiziana Cruciani, Nicole Grimaudo, Ninni Bruschetta, lo stesso Edoardo Leo e sorprendentemente Raoul Bova, perfetto quarantenne glamour, che basta a se stesso, che non capitalizza l'essere ormai adulto e che ha difficoltà a costruire relazioni e senso.Come la sua bellezza, il personaggio e la storia sembrano risolversi sulla superficie, introducendo e sviluppando il tema dichiarato fin dal titolo: il risveglio di un uomo senza qualità che (re)impara a vedere, a capire e ad amare. Ma lo fa in un modo non scontato e per molti versi originale. Buongiorno papà infatti non è solo una commedia sul lento apprendimento della paternità biologica ma anche su quella artistica, sulle responsabilità che comporta essere 'autore' in Italia, dove un regista giovane e magari pieno di bei progetti scartati, si ritrova a 'gestire' suo malgrado un 'figlio' capitato e formato. Dato un soggetto convenzionale, Edoardo Leo trasferisce il nodo centrale della storia anche nel cuore del linguaggio, producendo un esempio di metacinema che risolve piuttosto che mettere in scena le difficoltà di fare un film. Esemplare in questo senso è l'uso del 'product placement', l'inserimento di un prodotto o marca commerciale all'interno di una produzione cinematografica, che diventa mestiere del protagonista e materia viva, motivo di erranza piuttosto che di sclerotizzazione. Se le commedie recenti non sentono nemmeno il bisogno di costruire una gag attorno al prodotto, anche solo pretestuosa, Leo se ne serve per congegnare al meglio l'idea ed edificare il suo film, dove si ritaglia il ruolo dell'amico tutt'altro che scemo e del regista che si innamora del proprio oggetto. Quasi a dire che è solo amando il proprio oggetto scopico, originale o commissionato, che si può ancora pensare di fare cinema (e di fare i padri).
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