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03/10/2012 |
CINEMA: IL RITORNO DEL CAVALIERE OSCURO |
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Otto anni dopo la morte di Harvey Dent, Gotham è una città apparentemente pulita, ad eccezione della coscienza del commissario Gordon. Bruce Wayne vive ritirato, incapace di trovare un senso dopo la scomparsa di Rachel e il pensionamento di Batman. Glielo offre Bane, mercenario reso mostruoso da una maschera antidolorifica, che prima riduce la Wayne Enterprises in bancarotta e poi le soffia il segretissimo reattore nucleare convertendo il nucleo, pensato per produrre energia pulita, in un inarrestabile ordigno atomico. Mentre Bruce è rinchiuso in una prigione impossibile, con la schiena spezzata, Bane instaura a Gotham City una tirannia del proletariato che è un vero e proprio regime del terrore e affida il detonatore della bomba nelle mani di un cittadino misterioso. Come metterla con la glorificazione delle gesta di un ultra miliardario spendaccione in tempi di Occupy Wall Street? I fratelli Nolan decidono di tematizzare il conflitto anziché evitarlo. Alzare la posta del terrore in gioco, dopo lo scenario del caos affrescato dall'insuperabile Joker di Ledger e quello del caso impersonato da Due Facce, non era impresa facile ma il terrorismo si offre, da un decennio a questa parte, su un piatto d'argento, soprattutto se lo scopo è scatenare una guerra dei (due) mondi, ovvero una spaventosa guerra civile. Mai come in questo caso, dunque, Gotham è esplicitamente assurta a sineddoche del mondo (quello nord-occidentale) ed è una megalomania che ben si adatta al capitolo finale di una delle saghe più rappresentative dei temi e dei modi del cinema hollywoodiano contemporaneo, per quanto d'autore. Non sono pochi gli "spiegoni" né gli episodi ridicolmente inverosimili ma, in mezzo al racconto di tanta articolata corruzione e tanto umano orrore, così verosimilmente presentati (non si sa più se per una deriva antropologica o mediatica), le imperfezioni riportano alle esagerazioni da fumetto e quasi scaldano il cuore. Proprio come gli echi della tana delle tigri nel poliziotto di Joseph Gordon Levitt o quelli della casa-scuola di Xavier. Tra il secondo e il terzo capitolo non c'è apparentemente soluzione di continuità, ma a ben guardare la formula non è quella del seguito quanto piuttosto quella della ripetizione, che garantirà il gradimento dell'ultimo tomo a chi aveva già (giustamente) apprezzato il secondo, ma allo stesso tempo porta a riapprezzare il primo, che acquisisce in prospettiva il valore aggiunto di una maggior libertà e inventiva. Un piano ben congegnato, non c'è che dire, che nulla toglie, in fondo, allo spettacolo epico-mélo del film, ma può anche suscitare una legittima sensazione di appesantimento. Soccorrerà prontamente Alfred, con un Fernet Branca.
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